Giulio Casale torna a Milano con il suo nuovo spettacolo “ The Beat Goes On ”, in scena al Teatro Filodrammatici di Milano dal 31 marzo al 9 aprile. Continua così il suo percorso musicale/teatrale che, partito dal rock degli Estra, lo ha portato alla riproposizione di “ Polli di allevamento ” di Gaber-Luporini. Inizialmente etichettato a torto e superficialmente da alcuni critici come “ quello che avrebbe voluto essere Gaber ”, Giulio ha ampiamente dimostrato con i successivi progetti via via sempre più maturi e personali - “ Formidabili quegli anni ", " La vita altrove " e soprattutto con " La canzone di Nanda " - di essere il più rappresentativo e completo autore/attore legato alla forma del teatro-canzone.
Incontrare Giulio Casale è un’esperienza esaltante. Con una disponibilità e una schiettezza quasi imbarazzanti, quella che infatti doveva essere un’ intervista composta da un pugno di domande si è rivelata una lunga e piacevolissima chiacchierata difficile poi da riprodurre e ricondurre ad uno schema rigido di domande ma mille volte più interessante.
Come sarà il nuovo spettacolo ?
“ The Beat Goes On ” sarà un happening, mi piace definirlo così. Quello che ho sentito mentre lo immaginavo, specialmente dopo aver fatto quasi due anni con “ La Canzone Di Nanda ”, è stato che la cifra vera poteva essere, anziché spiegare la beat generation, quella di coglierne lo spirito nel suo farsi, non analizzandolo o spiegandolo, attraverso la lettura diretta, quasi senza preambolo, senza spiegazione. Quasi senza giustificazione drammaturgica, in una sorta di quasi improvvisazione scenica continua, si succederanno letture, piccoli monologhi ma soprattutto canzoni.. Anche se, teoricamente, potrebbe addirittura non esserci regia né copione, in realtà stiamo provando moltissimo per rendere il tutto un flusso continuo, non disgiungendo mai la prosa dalla canzone. A livello di teatro questa volta più che altro leggerò, ci saranno dei libri sul palco ed uniremo però sempre il tutto con le musiche di scena e soprattutto con le canzoni, anche di autori non propriamente definibili come “beat”, come già succedeva ne “ La canzone di Nanda ”, ma che comunque ne incarnano lo spirito. Con me ci sarà Matteo Curallo, eccezionale polistrumentista che ha lavorato e suonato tra l' altro con i La Crus per il pezzo che hanno portato a Sanremo. Di base ci sarà un pianoforte quindi tanto era raffinato come ingranaggio scenico “ La Canzone Di Nanda ” quanto questo sarà dichiaratamente povero, cercando anche in questo modo di incanalare lo spirito beat.
Qual' è stata la “scintilla” che ti ha fatto passare da una carriera musicale con gli Estra al teatro ed in particolar modo al teatro-canzone ?
E' stato grazie ad un mio piccolo libro di poesie intitolato “sullo Zero”. E' stato lui, anche forse a sua stessa insaputa, ad innescare il tutto. Ho pubblicato queste poesie, che non erano nemmeno forse le mie migliori ma che in quel momento erano la mia storia raccontata in forma di poesia, quello smarrimento abissale da cui provengo e che in quel momento sembrava risolto. Lo zero che era l'inizio quindi diventava un intero, il vuoto un tutto pieno. Mi hanno chiesto di leggerlo di pubblico e dopo le prime tre, quattro richieste ha preso la forma di un piccolo spettacolo, un concerto - reading. Le canzoni erano quelle degli Estra spogliate però dagli arrangiamenti rock e riportate in una dimensione acustica, raccolta. In quel momento c'è stata la scoperta del silenzio e del buio, che per me sono il teatro, dove tutto si rivela. Ho scoperto che quel silenzio e quel buio facevano emergere i contenuti in modo per me allora sconosciuto. Avere la possibilità di incontrare tutte le sere il pubblico in quella dimensione di reciproca nobiltà dove io come artista ti do la massima dignità, non ti sommergo di suoni, di luci ma ti dico: ascolta tutto, ti sto dando il mio meglio, sono nudo. In quel momento ho capito che la direzione che volevo per me era quella.
C'è stato un ritorno al teatro-canzone, quasi che la società civile ne richiedesse la riproposizione. Come vengono recepiti i contenuti di questo tipo di teatro ai giorni nostri ?
Il problema oggi è far capire cosa è realmente il teatro – canzone. Quando lo faceva Gaber era chiaro, non c'erano fraintendimenti, oggi si tende a confondere o ad uniformare il teatro – canzone con il cabaret o con spettacoli teatrali inframmezzati da qualche canzone mentre il realtà è ben altra cosa. Il “ vero ” teatro – canzone deve essere emblematicamente la contraddizione più evidente di tutto il disastro dei propri tempi.Ora che però, finalmente, si ricomincia a sentire una grande esigenza di slanci, di uscire dal teatro anche con una coscienza delle cose forse più chiara, quali tempi migliori /peggiori dei nostri per ritrovarne la necessità ?
Ne “ La canzone di Nanda ” hai portato in scena i poeti e gli artisti della beat generation e i loro tentativi di scardinare il moralismo e il conformismo della società di allora. Come vedi l' attuale situazione, dove si tenta di far passare per moralisti e retrogradi chi vorrebbe invece riportare la dignità e il rispetto al centro dell' attenzione?
E' un rovesciamento di un rovesciamento, siamo al salto mortale. In un momento storico come il nostro dove vengono addossate al ' 68 tutte le colpe dello sfascio odierno, pur con tutte le critiche che posso fare a quel periodo, mi sento di dover dare un segno fortemente contrario rispetto questa tendenza. Paradossalmente preferisco passare dalla parte di chi, quasi retoricamente, santifica quel periodo perchè l'afflato libertario, egualitario, la richiesta di parità sociale e di genere vera , tutto questo è nato veramente in quegli anni. Oggi quanto mai sono urgenti tutte queste richieste ? Oggi che appunto con argomenti assolutamente razionali, da persone per bene siamo diventati persone “per bene” volgarmente razzisti, intolleranti, dalla parte dei vincitori, tutto il contrario di quello che un ' umanità veramente compiuta dovrebbe essere. La deriva più pericolosa in assoluto oggi viene dal fatto che l'individuo è totalmente deresponsabilizzato, ci pensa il potere attraverso le leggi, ma soprattutto attraverso il controllo, a mantenere la situazione “ stabile” e questo è gravissimo. Il potere richiede continuamente valori e moralità al popolo, quasi questo fosse un bambino da redimere dai propri vizi, mentre in realtà le disfunzioni arrivano proprio dall'alto.
In questo quadro, come vedi i giovani ?
Sono molto meno catastrofista di molti altri, sento e vedo dei segni contrari, belli, forti. Quello che ora si sta dando ai giovani come orizzonte è sconsolante, desolante. Si suppone anche che ormai i giovani siano impegnati solamente nella ricerca del vacuo, dell'effimero che comunque gli viene continuamente proposto e che hanno sotto gli occhi tutti i giorni. Se ci fermiamo a questo tipo di visione c'è davvero di che mettersi le mani nei capelli. Ma se in realtà ascolti loro invece ti accorgi che hanno già rifiutato, a volte anche inconsapevolmente, tutto questo e sono già “oltre”. E' un loro percorso, se vuoi anche molto misterioso, ma c'è una loro tortuosità personale e quindi quando c'è qualcosa che cattura davvero la loro attenzione, la loro energia, la loro immedesimazione, allora scatta davvero l'interesse e la partecipazione.
C'è una sorta di filo rosso che lega gli spettacoli che hai fatto finora ( Polli di allevamento, Formidabili quegli anni, La canzone di Nanda e ora The beat goes on ) cioè la rappresentazione di una generazione che era alla ricerca del riconoscimento dei propri diritti. Pensi che questa ricerca oggi possa passare, come allora, attraverso l'arte o nuove forme di comunicazioni artistiche?
È sicuramente possibile anche se al momento probabilmente non se ne vedono ancora i segni. Quel filo che lega tutti i miei spettacoli è la necessità di ri-concepire un rifiuto che non è però fine a se stesso. E' un percorso partito già con gli Estra e, anche quando alcuni critici mi accusarono di portare avanti un' idea di rock nichilista, in realtà il mio punto di vista era esattamente tutto il contrario. Per affermare qualcosa, per dirla con Montale, bisognerebbe prima scegliere e decidere quello che non siamo, quello che non vogliamo essere più. Come dicevo prima, c'è una grande esigenza di slanci e questo è assolutamente lecito e comprensibile, però è più interessante in questo momento mettere l' accento su quello che non vogliamo, quello che dovrebbe essere superato per arrivare alla fine al vero riconoscimento di quel che si vorrebbe.
Hai fatto uno spettacolo, “ La vita altrove ”, sulla vita del pittore Gino Rossi. Da dove è venuta l' idea e come era strutturato lo spettacolo ?
Lo spettacolo fu concepito come serata unica per la città di Treviso, dove il pittore aveva vissuto ed era morto ed è stato uno studio molto lungo e molto bello sul rapporto follia – arte, cosa in cui, molto lucidamente, ci sguazzo. Ho un senso di grande empatia verso chi viene considerato folle, borderline. I riferimenti, visto il tema trattato potevano essere infiniti ma, anche se nel prologo usai diversi libri - Basaglia, Alda Merini, i diari di Nijinsky -, decisi di far parlare proprio Gino Rossi, farlo agire in scena attraverso il mio corpo. Il guardiano del manicomio di Treviso mi raccontò che, negli ultimi tre anni di vita, Gino Rossi passò l'ora d'aria a dipingere il vuoto, facendo dei gesti perfetti, intingendo il pennello nel colore, cancellando, rifacendo, come se stesse realmente dipingendo. Tutto questo ho cercato di trasmettere, tutta la disperazione, tutta la sensazione di rifiuto e di chiusura che poteva avere vissuto, portando anche testimonianza attraverso i suoi scritti e le sue lettere.
Sai già quale sarà il prossimo passo del tuo percorso artistico ?
Vorrei far tornare la musica protagonista. Avrei, dopo tanti anni , una piccola esigenza “fisica” di tornare ad una dimensione più musicale. Magari più recital che non concerto rock vero e proprio, chi lo sa....ancora una direzione vera e propria non me la sono data ma l' intenzione sarebbe quella.